Marino, Stefano
(2008)
La filosofia di Hans-Georg Gadamer e il problema del disagio della modernità.
Ermeneutica, estetica, etica e politica, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Dottorato di ricerca in
Filosofia (estetica ed etica), 20 Ciclo. DOI 10.6092/unibo/amsdottorato/835.
Documenti full-text disponibili:
Abstract
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del
pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così
dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò
risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale,
Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in
esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente
concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica
notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che
Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano
l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli
interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi
esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in
particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore
attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica
e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta
attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da
Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del
pensiero gadameriano comunque vige al suo interno.
La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia
morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su
problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica,
rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a
convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in
quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta
la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi
o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la
sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad
investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da
Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di
ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale
comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente
alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars
costruens (terza sezione).
Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi
della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata
dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche
l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di
illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i
principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del
nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di
vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante
diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera
adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero
entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla
concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune
recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica).
Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda
sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità
strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli
scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa
della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e
con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a
categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte –
definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di
fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza,
evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer
non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una
filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua
ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né
in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli
eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio;
terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono
solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda
affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti
conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più
ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza
umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire
come meri residui di irrazionalità.
Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars
destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la
crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad
esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli
chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed
extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione
ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e
dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di
principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva
dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di
chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune”
effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò,
infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici
dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana
dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e
Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del
dialogo, della solidarietà e della libertà.
Abstract
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del
pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così
dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò
risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale,
Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in
esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente
concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica
notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che
Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano
l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli
interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi
esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in
particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore
attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica
e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta
attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da
Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del
pensiero gadameriano comunque vige al suo interno.
La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia
morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su
problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica,
rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a
convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in
quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta
la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi
o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la
sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad
investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da
Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di
ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale
comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente
alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars
costruens (terza sezione).
Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi
della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata
dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche
l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di
illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i
principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del
nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di
vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante
diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera
adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero
entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla
concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune
recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica).
Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda
sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità
strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli
scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa
della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e
con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a
categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte –
definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di
fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza,
evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer
non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una
filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua
ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né
in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli
eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio;
terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono
solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda
affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti
conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più
ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza
umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire
come meri residui di irrazionalità.
Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars
destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la
crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad
esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli
chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed
extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione
ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e
dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di
principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva
dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di
chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune”
effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò,
infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici
dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana
dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e
Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del
dialogo, della solidarietà e della libertà.
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Marino, Stefano
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
modernità ermeneutica estetica etica politica
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/835
Data di discussione
27 Maggio 2008
URI
Altri metadati
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Marino, Stefano
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
modernità ermeneutica estetica etica politica
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/835
Data di discussione
27 Maggio 2008
URI
Statistica sui download
Gestione del documento: