Raffiotta, Edoardo Carlo
(2008)
Gli interventi sostitutivi nei confronti degli enti territoriali, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Dottorato di ricerca in
Diritto costituzionale, 20 Ciclo. DOI 10.6092/unibo/amsdottorato/748.
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Abstract
La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di
sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed
esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi.
Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella
amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto
interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o
di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad
analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali.
I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di
sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e
classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare
di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del
menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività
sostitutiva.
Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento
italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che
regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta.
La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli.
La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo
dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione
rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo.
Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno
di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli
enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno
dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato.
Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera
fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie
dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno.
Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive
nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4
febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923.
Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il
fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò,
come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni
proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del
principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i
consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le
Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti
organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale.
In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente
dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale
ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie
surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico
potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni
(Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello
fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il
sostituito.
Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica,
come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi
dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie
locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore
autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia
avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e
Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto.
Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto
pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici
dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di
raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello
Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una
contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive.
Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione
presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il
sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la
constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione
amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale
considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di
contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto.
Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni,
al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il
problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle
eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire
l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice
delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971
sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito
per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988,
individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente
gli interventi del legislatore.
Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi
comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per
il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del
1976.
Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina
generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato.
Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente
recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali
disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto
nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986.
Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e
giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già
ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere
sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei
confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in
conformità al principio di leale collaborazione.
Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito
definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà
sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta
nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già
antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale
attuazione del principio di sussidiarietà.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione
ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2.
La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i
precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione
costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal
riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e
completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture.
Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In
particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla
possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie
sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione.
Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà
definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il
potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città
metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un
potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale
detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18
ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con
la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la
riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura.
Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale
avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della
tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione
che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si
intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente
abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di
quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto
costituzionale vigente.
Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione
della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha
mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una
della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando
genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120”
Cost.
Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art.
8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte
in materia.
Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120
Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e
definite dal giudice della costituzionalità.
In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla
natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha
tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel
potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle
previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei
confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito
“straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando
“ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale).
Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto
la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze.
In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative
statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa
della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale
conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui
sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia
di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di
particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il
rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal
legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente
sostituito.
Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art.
120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima
legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari
regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti
in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo
di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto,
sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva
costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche
disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre
2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione
Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della
protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato
per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al
superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto
interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione
d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché
giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere
l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di
particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304
del 1987.
Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché
meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi
regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla
struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli
da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione
Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n.
6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono
un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti
locali.
La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai
poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma
si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra
emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi
di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi
dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della
giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella
ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare
corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale
all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo
generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro
giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione.
In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo
dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei
singoli.
I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a
tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine
dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di
attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme
ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà
sostitutiva di funzioni amministrative.
In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di
sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra
mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove
l’ente più vicino ai cittadini non riesca.
Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della
sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale,
all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte
costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur
criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i
sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire
dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale
collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare
quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello
stato nelle competenze della regioni.
Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte
abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che
senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della
stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto
nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi.
I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il
conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un
punto di arrivo, bensì solo di partenza.
I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma
costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore
costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza
assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n.
269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può
sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo
Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio
delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”.
Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di
Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti
che lo Stato avrebbe dovuto rispettare?
Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione
espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale?
Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli
sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto
di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il
regionalismo italiano.
Abstract
La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di
sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed
esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi.
Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella
amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto
interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o
di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad
analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali.
I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di
sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e
classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare
di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del
menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività
sostitutiva.
Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento
italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che
regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta.
La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli.
La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo
dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione
rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo.
Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno
di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli
enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno
dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato.
Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera
fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie
dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno.
Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive
nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4
febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923.
Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il
fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò,
come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni
proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del
principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i
consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le
Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti
organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale.
In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente
dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale
ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie
surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico
potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni
(Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello
fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il
sostituito.
Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica,
come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi
dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie
locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore
autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia
avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e
Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto.
Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto
pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici
dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di
raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello
Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una
contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive.
Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione
presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il
sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la
constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione
amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale
considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di
contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto.
Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni,
al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il
problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle
eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire
l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice
delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971
sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito
per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988,
individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente
gli interventi del legislatore.
Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi
comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per
il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del
1976.
Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina
generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato.
Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente
recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali
disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto
nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986.
Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e
giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già
ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere
sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei
confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in
conformità al principio di leale collaborazione.
Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito
definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà
sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta
nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già
antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale
attuazione del principio di sussidiarietà.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione
ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2.
La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i
precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione
costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal
riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e
completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture.
Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In
particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla
possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie
sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione.
Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà
definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il
potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città
metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un
potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale
detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18
ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con
la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la
riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura.
Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale
avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della
tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione
che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si
intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente
abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di
quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto
costituzionale vigente.
Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione
della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha
mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una
della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando
genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120”
Cost.
Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art.
8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte
in materia.
Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120
Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e
definite dal giudice della costituzionalità.
In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla
natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha
tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel
potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle
previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei
confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito
“straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando
“ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale).
Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto
la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze.
In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative
statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa
della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale
conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui
sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia
di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di
particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il
rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal
legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente
sostituito.
Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art.
120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima
legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari
regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti
in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo
di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto,
sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva
costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche
disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre
2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione
Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della
protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato
per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al
superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto
interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione
d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché
giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere
l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di
particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304
del 1987.
Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché
meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi
regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla
struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli
da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione
Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n.
6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono
un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti
locali.
La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai
poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma
si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra
emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi
di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi
dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della
giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella
ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare
corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale
all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo
generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro
giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione.
In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo
dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei
singoli.
I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a
tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine
dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di
attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme
ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà
sostitutiva di funzioni amministrative.
In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di
sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra
mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove
l’ente più vicino ai cittadini non riesca.
Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della
sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale,
all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte
costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur
criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i
sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire
dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale
collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare
quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello
stato nelle competenze della regioni.
Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte
abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che
senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della
stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto
nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi.
I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il
conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un
punto di arrivo, bensì solo di partenza.
I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma
costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore
costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza
assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n.
269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può
sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo
Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio
delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”.
Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di
Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti
che lo Stato avrebbe dovuto rispettare?
Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione
espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale?
Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli
sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto
di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il
regionalismo italiano.
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Raffiotta, Edoardo Carlo
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
potere sostitutivo regioni enti locali
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/748
Data di discussione
30 Giugno 2008
URI
Altri metadati
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Raffiotta, Edoardo Carlo
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
potere sostitutivo regioni enti locali
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/748
Data di discussione
30 Giugno 2008
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