Pirocchi, Ilaria
(2008)
Le determinanti del ricorso al debito delle piccole e medie imprese italiane: un'analisi empirica, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Dottorato di ricerca in
Mercati e intermediari finanziari, 20 Ciclo.
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Abstract
L’analisi condotta nella tesi mira ad indagare le determinanti del debito delle piccole e
medie imprese italiane: la domanda di ricerca è indirizzata a capire se la struttura
finanziaria di queste ultime segue i modelli teorici sviluppati nell’ambito della letteratura di
Corporate Finance o se, d’altro canto, non sia possibile prescindere dalle peculiarità delle
piccole e medie imprese per spiegare il ricorso alle diverse fonti di finanziamento.
La ricerca empirica effettuata nella dissertazione vuole essere un tentativo di coniugare le
teorie di riferimento e le evidenze empiriche relative alle piccole e medie imprese italiane,
analizzandone il comportamento attraverso lo studio del campione di dati fornito da
Capitalia, relativo alla Nona Indagine per il periodo 2001-2003. Il campione in oggetto fa
riferimento a circa 4000 imprese con più di 10 addetti, prevalentemente del settore
manifatturiero.
Per indagare le determinanti del debito nelle sue componenti più tradizionali, si sono prese
in considerazione il debito commerciale e il debito bancario a breve termine come forme di
finanziamento correnti mentre, tra le forme di finanziamento di medio-lungo periodo, le
variabili usate sono state il ricorso al debito bancario a lungo termine e a strumenti
obbligazionari. Inoltre, si è ricorso anche a misure più tradizionali di leva finanziaria, quali
il rapporto di indebitamento, la proporzione tra debiti bancari, sia di breve che di lungo
periodo, e l’ammontare dei finanziamenti esterni rispetto al valore dell’impresa,
distinguendo anche qui, tra finanziamenti a breve e a lungo termine.
L’analisi descrittiva ha mostrato il massiccio ricorso al debito bancario e, in generale, alle
forme di indebitamento a breve. Le imprese di dimensioni minori, più giovani e opache
tendono a ricorrere alle fonti interne e a forme di indebitamento a breve, mentre le imprese
maggiormente dimensionate mostrano una struttura del debito più articolata. Questo ha
suggerito la definizione di una diversa misura di debito, che tiene conto della complessità
della sua struttura all’interno delle imprese, in base ad un ricorso di tipo gerarchico alle
fonti di finanziamento: il grado di complessità dipende dalle tipologie e dalla quantità dei
contratti di debito conclusi dall’impresa . E’ plausibile pensare che le imprese ricorrano
prima alle fonti interne di finanziamento, perché prive di costi, e poi all’indebitamento nei
confronti di diversi stakeholders: rispetto alla prossimità e alla facilità dell’ottenimento del
finanziamento, è sembrato naturale pensare che un’impresa ricorra dapprima al debito
commerciale, poi al debito bancario e solo infine all’emissione di obbligazioni, in un
ordine gerarchico. Ne consegue che se un’impresa (non) ha contratto debiti con fornitori,
banche e mercato, la complessità della struttura del suo debito è massima (nulla).
L’analisi econometrica successiva è stata indirizzata in tre direzioni. In primis, l’analisi
longitudinale dei dati è stata volta ad evidenziare se la struttura finanziaria delle PMI
risponde ad un particolare modello teorico, in accordo con le teoria tradizionali di
riferimento. In secondo luogo, l’analisi delle determinanti si è allargata allo studio degli
aspetti peculiari delle imprese medio-piccole. Infine, si è indagato se, nell’ambito delle
imprese di dimensioni minori, si osservano comportamenti omogenei oppure se
determinate scelte nelle fonti di finanziamento sono da ricondurre all’esistenza di alcuni
vincoli.
Quindi, partendo dalla rassegna dei principali riferimenti nella letteratura, costituiti dalla
Trade-off theory (Modigliani e Miller, 1963, De Angelo e Masulis, 1980, Miller, 1977),
dalla Pecking order theory (Myers 1984, Myers e Majluf, 1984) e dalla Financial growth
cycle theory (Berger e Udell, 1998), una prima serie di analisi econometriche è stata rivolta
alla verifica empirica delle teorie suddette.
Una seconda analisi mira, invece, a capire se il comportamento delle imprese possa essere
spiegato anche da altri fattori: il modello del ciclo di vita dell’impresa, mutuato dalle
discipline manageriali, così come il contesto italiano e la particolarità del rapporto bancaimpresa,
hanno suggerito l’analisi di altre determinanti al ricorso delle diverse fonti di
debito. Di conseguenza, si sono usate delle opportune analisi econometriche per
evidenziare se la struttura proprietaria e di controllo dell’impresa, il suo livello di
complessità organizzativa possano incidere sulla struttura del debito delle imprese. Poi, si è
indagato se il massiccio ricorso al debito bancario è spiegato dalle peculiarità del rapporto
banca-impresa nel nostro Paese, rintracciabili nei fenomeni tipici del relationship lending e
del multiaffidamento. Ancora, si sono verificati i possibili effetti di tale rapporto sulla
complessità della struttura del debito delle imprese.
Infine, l’analisi della letteratura recente sulla capital structure delle imprese, l’approccio
sviluppato da Fazzari Hubbard e Petersen (1988) e Almeida e Campello (2006 , 2007) ha
suggerito un ultimo livello di analisi.
La presenza di vincoli nelle decisioni di finanziamento, legati essenzialmente alla
profittabilità, alla dimensione delle imprese, alle sue opportunità di crescita, e alla
reputazione verso l’esterno, secondo la letteratura recente, è cruciale nell’analisi delle
differenze sistematiche di comportamento delle imprese.
Per di più, all’interno del lavoro di tesi, così come in Almeida e Campello (2007), si è
ipotizzato che la propensione agli investimenti possa essere considerata un fattore
endogeno rispetto alla struttura del debito delle imprese, non esogeno come la letteratura
tradizionale vuole. Per questo motivo, si è proceduto ad un ultimo tipo di analisi
econometrica, volta a rilevare possibili differenze significative nel comportamento delle
imprese rispetto al ricorso alle fonti di finanziamento a titolo di debito: nel caso in cui esse
presentino una dimensione contenuta, una bassa redditività e una scarsa reputazione
all’esterno infatti, vi dovrebbe essere un effetto di complementarietà tra fonti interne ed
esterne. L’effetto sarebbe tale per cui non sussisterebbe, o per lo meno non sarebbe
significativa, una relazione negativa tra fonti interne ed esterne.
Complessivamente, i risultati delle analisi empiriche condotte, supportano sia le teorie
classiche di riferimento nell’ambito della disciplina della Corporate finance, sia la teoria
proposta da Berger e Udell (1998): le variabili che risultano significative nella spiegazione
della struttura del debito sono principalmente quelle relative alla dimensione, all’età, al
livello e alla qualità delle informazioni disponibili. Inoltre, il ricorso a fonti interne risulta
essere la primaria fonte di finanziamento, seguita dal debito. Il ricorso a fonti esterne, in
particolare al debito bancario, aumenta quanto più l’impresa cresce, ha una struttura solida
e la capacità di fornire delle garanzie, e ha una reputazione forte. La struttura del debito,
peraltro, diventa più complessa all’aumentare della dimensione, dell’età e del livello di
informazioni disponibili.
L’analisi della struttura proprietaria e della componente organizzativa all’interno delle
imprese ha evidenziato principalmente che la struttura del debito aumenta di complessità
con maggiore probabilità se la proprietà è diffusa, se vi è un management indipendente e se
la piramide organizzativa è ben definita.
Relativamente al rapporto banca-impresa, i principali risultati mostrano che
l’indebitamento bancario sembra essere favorito dai fenomeni di relationship lending e dal
multiaffidamento. Tali peculiarità assumono tratti diversi a seconda della fase del ciclo di
vita delle imprese della Nona Indagine.
Infine, per quanto attiene all’ultima tipologia di analisi condotta, le evidenze empiriche
suggeriscono che le piccole e medie imprese possano essere soggette a delle restrizioni che
si riflettono nell’ambito delle loro politiche di investimento. Tali vincoli, relativi alla
dimensione, ai profitti conseguiti e alla reputazione all’esterno, aiutano a spiegare le scelte
di finanziamento delle PMI del campione.
Abstract
L’analisi condotta nella tesi mira ad indagare le determinanti del debito delle piccole e
medie imprese italiane: la domanda di ricerca è indirizzata a capire se la struttura
finanziaria di queste ultime segue i modelli teorici sviluppati nell’ambito della letteratura di
Corporate Finance o se, d’altro canto, non sia possibile prescindere dalle peculiarità delle
piccole e medie imprese per spiegare il ricorso alle diverse fonti di finanziamento.
La ricerca empirica effettuata nella dissertazione vuole essere un tentativo di coniugare le
teorie di riferimento e le evidenze empiriche relative alle piccole e medie imprese italiane,
analizzandone il comportamento attraverso lo studio del campione di dati fornito da
Capitalia, relativo alla Nona Indagine per il periodo 2001-2003. Il campione in oggetto fa
riferimento a circa 4000 imprese con più di 10 addetti, prevalentemente del settore
manifatturiero.
Per indagare le determinanti del debito nelle sue componenti più tradizionali, si sono prese
in considerazione il debito commerciale e il debito bancario a breve termine come forme di
finanziamento correnti mentre, tra le forme di finanziamento di medio-lungo periodo, le
variabili usate sono state il ricorso al debito bancario a lungo termine e a strumenti
obbligazionari. Inoltre, si è ricorso anche a misure più tradizionali di leva finanziaria, quali
il rapporto di indebitamento, la proporzione tra debiti bancari, sia di breve che di lungo
periodo, e l’ammontare dei finanziamenti esterni rispetto al valore dell’impresa,
distinguendo anche qui, tra finanziamenti a breve e a lungo termine.
L’analisi descrittiva ha mostrato il massiccio ricorso al debito bancario e, in generale, alle
forme di indebitamento a breve. Le imprese di dimensioni minori, più giovani e opache
tendono a ricorrere alle fonti interne e a forme di indebitamento a breve, mentre le imprese
maggiormente dimensionate mostrano una struttura del debito più articolata. Questo ha
suggerito la definizione di una diversa misura di debito, che tiene conto della complessità
della sua struttura all’interno delle imprese, in base ad un ricorso di tipo gerarchico alle
fonti di finanziamento: il grado di complessità dipende dalle tipologie e dalla quantità dei
contratti di debito conclusi dall’impresa . E’ plausibile pensare che le imprese ricorrano
prima alle fonti interne di finanziamento, perché prive di costi, e poi all’indebitamento nei
confronti di diversi stakeholders: rispetto alla prossimità e alla facilità dell’ottenimento del
finanziamento, è sembrato naturale pensare che un’impresa ricorra dapprima al debito
commerciale, poi al debito bancario e solo infine all’emissione di obbligazioni, in un
ordine gerarchico. Ne consegue che se un’impresa (non) ha contratto debiti con fornitori,
banche e mercato, la complessità della struttura del suo debito è massima (nulla).
L’analisi econometrica successiva è stata indirizzata in tre direzioni. In primis, l’analisi
longitudinale dei dati è stata volta ad evidenziare se la struttura finanziaria delle PMI
risponde ad un particolare modello teorico, in accordo con le teoria tradizionali di
riferimento. In secondo luogo, l’analisi delle determinanti si è allargata allo studio degli
aspetti peculiari delle imprese medio-piccole. Infine, si è indagato se, nell’ambito delle
imprese di dimensioni minori, si osservano comportamenti omogenei oppure se
determinate scelte nelle fonti di finanziamento sono da ricondurre all’esistenza di alcuni
vincoli.
Quindi, partendo dalla rassegna dei principali riferimenti nella letteratura, costituiti dalla
Trade-off theory (Modigliani e Miller, 1963, De Angelo e Masulis, 1980, Miller, 1977),
dalla Pecking order theory (Myers 1984, Myers e Majluf, 1984) e dalla Financial growth
cycle theory (Berger e Udell, 1998), una prima serie di analisi econometriche è stata rivolta
alla verifica empirica delle teorie suddette.
Una seconda analisi mira, invece, a capire se il comportamento delle imprese possa essere
spiegato anche da altri fattori: il modello del ciclo di vita dell’impresa, mutuato dalle
discipline manageriali, così come il contesto italiano e la particolarità del rapporto bancaimpresa,
hanno suggerito l’analisi di altre determinanti al ricorso delle diverse fonti di
debito. Di conseguenza, si sono usate delle opportune analisi econometriche per
evidenziare se la struttura proprietaria e di controllo dell’impresa, il suo livello di
complessità organizzativa possano incidere sulla struttura del debito delle imprese. Poi, si è
indagato se il massiccio ricorso al debito bancario è spiegato dalle peculiarità del rapporto
banca-impresa nel nostro Paese, rintracciabili nei fenomeni tipici del relationship lending e
del multiaffidamento. Ancora, si sono verificati i possibili effetti di tale rapporto sulla
complessità della struttura del debito delle imprese.
Infine, l’analisi della letteratura recente sulla capital structure delle imprese, l’approccio
sviluppato da Fazzari Hubbard e Petersen (1988) e Almeida e Campello (2006 , 2007) ha
suggerito un ultimo livello di analisi.
La presenza di vincoli nelle decisioni di finanziamento, legati essenzialmente alla
profittabilità, alla dimensione delle imprese, alle sue opportunità di crescita, e alla
reputazione verso l’esterno, secondo la letteratura recente, è cruciale nell’analisi delle
differenze sistematiche di comportamento delle imprese.
Per di più, all’interno del lavoro di tesi, così come in Almeida e Campello (2007), si è
ipotizzato che la propensione agli investimenti possa essere considerata un fattore
endogeno rispetto alla struttura del debito delle imprese, non esogeno come la letteratura
tradizionale vuole. Per questo motivo, si è proceduto ad un ultimo tipo di analisi
econometrica, volta a rilevare possibili differenze significative nel comportamento delle
imprese rispetto al ricorso alle fonti di finanziamento a titolo di debito: nel caso in cui esse
presentino una dimensione contenuta, una bassa redditività e una scarsa reputazione
all’esterno infatti, vi dovrebbe essere un effetto di complementarietà tra fonti interne ed
esterne. L’effetto sarebbe tale per cui non sussisterebbe, o per lo meno non sarebbe
significativa, una relazione negativa tra fonti interne ed esterne.
Complessivamente, i risultati delle analisi empiriche condotte, supportano sia le teorie
classiche di riferimento nell’ambito della disciplina della Corporate finance, sia la teoria
proposta da Berger e Udell (1998): le variabili che risultano significative nella spiegazione
della struttura del debito sono principalmente quelle relative alla dimensione, all’età, al
livello e alla qualità delle informazioni disponibili. Inoltre, il ricorso a fonti interne risulta
essere la primaria fonte di finanziamento, seguita dal debito. Il ricorso a fonti esterne, in
particolare al debito bancario, aumenta quanto più l’impresa cresce, ha una struttura solida
e la capacità di fornire delle garanzie, e ha una reputazione forte. La struttura del debito,
peraltro, diventa più complessa all’aumentare della dimensione, dell’età e del livello di
informazioni disponibili.
L’analisi della struttura proprietaria e della componente organizzativa all’interno delle
imprese ha evidenziato principalmente che la struttura del debito aumenta di complessità
con maggiore probabilità se la proprietà è diffusa, se vi è un management indipendente e se
la piramide organizzativa è ben definita.
Relativamente al rapporto banca-impresa, i principali risultati mostrano che
l’indebitamento bancario sembra essere favorito dai fenomeni di relationship lending e dal
multiaffidamento. Tali peculiarità assumono tratti diversi a seconda della fase del ciclo di
vita delle imprese della Nona Indagine.
Infine, per quanto attiene all’ultima tipologia di analisi condotta, le evidenze empiriche
suggeriscono che le piccole e medie imprese possano essere soggette a delle restrizioni che
si riflettono nell’ambito delle loro politiche di investimento. Tali vincoli, relativi alla
dimensione, ai profitti conseguiti e alla reputazione all’esterno, aiutano a spiegare le scelte
di finanziamento delle PMI del campione.
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Pirocchi, Ilaria
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
capital structure strumenti di debito pmi rapporto banca-impresa
URN:NBN
Data di discussione
11 Aprile 2008
URI
Altri metadati
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Pirocchi, Ilaria
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
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Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
capital structure strumenti di debito pmi rapporto banca-impresa
URN:NBN
Data di discussione
11 Aprile 2008
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