Pedrini, Giulio
(2008)
Il criterio di efficienza e l'attività delle autorità antitrust, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Dottorato di ricerca in
Diritto ed economia - law and economics, 20 Ciclo. DOI 10.6092/unibo/amsdottorato/766.
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Abstract
E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con
una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie
accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta.
Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa,
efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva.
Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla
letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola
temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della
ricerca della forma di mercato più “efficiente”.
Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le
diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime
di concorrenza perfetta.
Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione
finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di
un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel
prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove
possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il
criterio della rule of reason.
Capitolo 2
Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione
efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a
esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione
di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri.
Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di
efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo
rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al
criterio di efficacia).
Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione
con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento
italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti.
Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle
metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di
Impatto della Regolazione
Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con
specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito
nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale,
quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri
ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza,
Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa
metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati
circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del
criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello
sviluppatosi nella cultura cinese.
Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela
della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì,
più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di
superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione.
Capitolo 3
Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da
parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati
Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il
necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia.
L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle
principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale
possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il
paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d.
teorie “Post-Chicago”.
Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico
con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto
avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della
concorrenza sia l’analisi economica del diritto.
A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le
nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento
irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive
ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno
dei principali ambiti applicativi della law and economics.
Capitolo 4
Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust
sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in
materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e
non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito
sull’applicazione del criterio di efficienza.
Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza
dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo
che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il
ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del
Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le
intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di
efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione.
Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono
contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa
beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso
tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi,
contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che
contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea.
Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza
nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non
contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella
valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato
rilevante.
Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione
Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che
l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello
scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio
di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio
margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della
contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3).
Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto,
prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da
operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente
Regolamento 4064/89.
Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto
costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di
ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese,
suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece
limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3).
Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il
meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo
profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere
dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la
Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che
investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti.
Capitolo 5
L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle
normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna,
Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile.
Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità
nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in
termini di sistema giuridico, nel quale esse operano.
Capitolo 6
Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in
esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità
di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista
giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione
delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le
è stato affidato dall’ordinamento.
In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità
indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione
dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un
potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al
potere esecutivo né a quello giurisdizionale.
Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust
e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di
confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si
rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle
fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a
conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di
decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico.
Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea,
istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di
mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che
avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad
essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza
delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come
un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono
influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del
criterio di efficienza.
Capitolo 7
Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la
funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi
all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti
ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza.
A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state
classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che
presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate
le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle
analisi empiriche svolte dalla letteratura.
6
Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle
decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando
se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di
valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni.
Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali
relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a
livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano
generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle
autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli
utilizzati dagli organi comunitari.
Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di
efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso
utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi
scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica
della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica
industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle
autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete.
Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto
dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle
concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di
efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato
l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in
questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge
antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della
rule of law sulla rule of reason.
Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza
nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni
che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La
sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della
condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché
sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità
reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza
di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna
dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a
causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue.
Capitolo 8
Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle
caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in
essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era
effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi
dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore.
La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che
intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai
fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati
che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi
di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto
di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto
contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta,
d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni
hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così
come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci
spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e
favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico.
Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti,
suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non
perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato
fenomeno del trasporto multimodale.
Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla
disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre
attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo
settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a
sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle
infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto;
il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di
un sistema.
Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della
dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa
che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle
fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente,
tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo
di un network ben più ampio
Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità
comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza
che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato
comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività
antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello
mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui
ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale.
Capitolo 9. Conclusioni
L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla
trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di
economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con
particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza.
Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le
principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in
una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse
cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva.
Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria,
non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione
Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale
recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua
legittimazione, che in questa sede non affrontiamo.
Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie
economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta
attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole
imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza
individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al
diritto antitrust.
Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che
l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati
membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze
sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate
dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di
efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di
determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze,
nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche.
Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due
aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto
ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza
delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti
adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie
riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica
consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta
applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il
carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o
duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e
giuridico), essendo esse nodi e non reti.
E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle
autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi
ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e
tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie
ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di
lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla
nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in
questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così
ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza.
Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe
di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento
territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei
comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai
singoli mercati nazionali.
Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene
formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile
intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà,
sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è
l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli.
Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.
Abstract
E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con
una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie
accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta.
Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa,
efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva.
Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla
letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola
temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della
ricerca della forma di mercato più “efficiente”.
Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le
diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime
di concorrenza perfetta.
Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione
finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di
un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel
prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove
possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il
criterio della rule of reason.
Capitolo 2
Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione
efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a
esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione
di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri.
Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di
efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo
rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al
criterio di efficacia).
Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione
con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento
italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti.
Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle
metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di
Impatto della Regolazione
Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con
specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito
nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale,
quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri
ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza,
Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa
metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati
circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del
criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello
sviluppatosi nella cultura cinese.
Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela
della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì,
più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di
superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione.
Capitolo 3
Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da
parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati
Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il
necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia.
L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle
principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale
possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il
paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d.
teorie “Post-Chicago”.
Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico
con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto
avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della
concorrenza sia l’analisi economica del diritto.
A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le
nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento
irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive
ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno
dei principali ambiti applicativi della law and economics.
Capitolo 4
Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust
sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in
materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e
non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito
sull’applicazione del criterio di efficienza.
Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza
dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo
che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il
ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del
Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le
intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di
efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione.
Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono
contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa
beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso
tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi,
contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che
contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea.
Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza
nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non
contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella
valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato
rilevante.
Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione
Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che
l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello
scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio
di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio
margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della
contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3).
Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto,
prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da
operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente
Regolamento 4064/89.
Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto
costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di
ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese,
suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece
limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3).
Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il
meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo
profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere
dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la
Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che
investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti.
Capitolo 5
L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle
normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna,
Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile.
Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità
nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in
termini di sistema giuridico, nel quale esse operano.
Capitolo 6
Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in
esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità
di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista
giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione
delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le
è stato affidato dall’ordinamento.
In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità
indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione
dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un
potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al
potere esecutivo né a quello giurisdizionale.
Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust
e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di
confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si
rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle
fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a
conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di
decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico.
Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea,
istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di
mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che
avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad
essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza
delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come
un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono
influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del
criterio di efficienza.
Capitolo 7
Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la
funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi
all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti
ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza.
A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state
classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che
presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate
le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle
analisi empiriche svolte dalla letteratura.
6
Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle
decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando
se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di
valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni.
Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali
relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a
livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano
generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle
autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli
utilizzati dagli organi comunitari.
Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di
efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso
utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi
scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica
della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica
industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle
autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete.
Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto
dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle
concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di
efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato
l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in
questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge
antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della
rule of law sulla rule of reason.
Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza
nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni
che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La
sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della
condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché
sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità
reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza
di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna
dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a
causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue.
Capitolo 8
Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle
caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in
essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era
effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi
dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore.
La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che
intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai
fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati
che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi
di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto
di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto
contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta,
d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni
hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così
come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci
spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e
favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico.
Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti,
suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non
perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato
fenomeno del trasporto multimodale.
Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla
disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre
attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo
settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a
sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle
infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto;
il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di
un sistema.
Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della
dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa
che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle
fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente,
tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo
di un network ben più ampio
Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità
comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza
che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato
comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività
antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello
mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui
ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale.
Capitolo 9. Conclusioni
L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla
trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di
economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con
particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza.
Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le
principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in
una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse
cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva.
Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria,
non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione
Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale
recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua
legittimazione, che in questa sede non affrontiamo.
Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie
economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta
attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole
imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza
individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al
diritto antitrust.
Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che
l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati
membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze
sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate
dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di
efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di
determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze,
nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche.
Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due
aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto
ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza
delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti
adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie
riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica
consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta
applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il
carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o
duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e
giuridico), essendo esse nodi e non reti.
E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle
autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi
ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e
tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie
ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di
lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla
nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in
questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così
ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza.
Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe
di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento
territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei
comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai
singoli mercati nazionali.
Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene
formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile
intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà,
sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è
l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli.
Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Pedrini, Giulio
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
efficienza concorrenza antitrust
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/766
Data di discussione
26 Giugno 2008
URI
Altri metadati
Tipologia del documento
Tesi di dottorato
Autore
Pedrini, Giulio
Supervisore
Dottorato di ricerca
Ciclo
20
Coordinatore
Settore disciplinare
Settore concorsuale
Parole chiave
efficienza concorrenza antitrust
URN:NBN
DOI
10.6092/unibo/amsdottorato/766
Data di discussione
26 Giugno 2008
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